Pubblicato su politicadomani Num 85 - Novembre 2008

Il Mezzogiorno che vive
Rexpò 2008, fra innovazione e fedeltà alla vocazione del Sud

Dal 23 al 25 ottobre si è svolto a Cosenza l’annuale convegno di Rexpò, Spazio Euromediterraneo delle Responsabilità Sociali, con una formula rinnovata rispetto agli anni passati: niente spazio espositivo e larga partecipazione dei giovani del Mediterraneo. Ce ne parla Giovanni Serra, responsabile dell’evento

di Maria Mezzina

Come è nata l’idea di Rexpò, uno spazio euromediterraneo delle responsabilità sociali?
Ci sono nel Sud oltre 60mila organizzazioni del Terzo Settore che, nonostante il tanto movimento e la passione sono irrilevanti nel loro contesto territoriale, non sono cioè capaci di cambiare il territorio in cui operano. È da qui che parte la ricerca di quale è il ruolo delle organizzazioni sociali del Terzo Settore nello sviluppo del Sud, e di come fare a non essere irrilevanti. La nostra risposta è che possiamo aiutare il Sud a cambiare se lo aiutiamo a riscoprire la sua vocazione. Il Sud è, prima di tutto, uno spazio di confronto e di dialogo, non solo perché è geograficamente al centro del Mediterraneo, ma perché la sua gente è attraversata nella storia, nel sangue, nel Dna, nella cultura, nelle tradizioni, dalla presenza di popoli che provengono da altre parti del Mediterraneo. Noi, gente del Sud, siamo geneticamente e culturalmente “mediterranei”. Il Mediterraneo è anche il centro di potenzialità inespresse come lo sviluppo delle relazioni commerciali. Qui, inoltre, si possono giocare tutta una serie di istanze globali: prime fra tutte l’intercultura e il dialogo fra le religioni. Sul Mediterraneo si affacciano tre continenti, Europa, Africa e Asia, e quindi, rispetto a questi temi, esso si trova ad essere in una condizione di estrema centralità. Mentre, rispetto all’Europa e a Bruxelles, si trova in condizione di estrema marginalità.

Sembra che il baricentro dello sviluppo in generale dell’economia si sia spostato dal sud al nord, dal Mediterraneo all’Europa. Quali, allora, le conseguenze sulle associazioni del Terzo Settore del Sud?
La questione, per quanto riguarda il Terzo Settore, è irrilevante perché esso, per sua natura, è radicato nel suo territorio. Anche se questo non esclude la possibilità e anche la responsabilità di guardare al di là di se stesso. La prospettiva “glocale”, e cioè di stare contemporaneamente radicati sul territorio e con la testa, con il cuore e con le azioni nella globalizzazione, il Terzo Settore la vive, con uno slogan del MOVI, come una talpa dentro il suo terreno e contemporaneamente una giraffa che è capace di guardare lontano.

Quest’anno l’esperienza di Civitas a Padova del Forum del Terzo Settore è stata deludente. Qual è la situazione nel Sud?
Il Terzo Settore vive un periodo di difficoltà perché è in una fase di disorientamento, o meglio, di crescita senza orientamento. Dalla prima famiglia, il volontariato, si sono sviluppate altre forme di impegno organizzato: le associazioni di promozione sociale e la cooperazione sociale. Esse sono state coinvolte in forme di mercato sociale quali l’organizzazione di servizi per conto di enti pubblici, incapaci di garantire le stesse competenze. Questo ha generato forme di competizione che hanno prodotto frammentazione - la polverizzazione di cui ha parlato De Rita - creando difficoltà anche all’interno di territori relativamente piccoli, sia a livello locale dove le fratture, le contrapposizioni, le incomprensioni sono sempre più grandi della capacità di stare insieme, sia a livello di coordinamento nazionale, con il Forum del Terzo Settore.

Che risonanza ha avuto Rexpò e quale coinvolgimento c’è stato a livello locale e nazionale?
A livello locale c’è stato un buon coinvolgimento degli organi di stampa. È mancato invece il coinvolgimento delle organizzazioni di base, proprio per quei meccanismi di frammentazione che fanno vedere come ostile qualunque cosa di cui non si è direttamente promotori. Le organizzazioni nazionali hanno dato il loro partenariato in modo convinto, divenendo copromotori di Rexpò. Ma, concretamente, a parte alcune esperienze proposte dal CSVnet, non sono state in grado di coinvolgersi sul piano operativo. Paradossalmente, è stato più facile dialogare con le organizzazioni straniere che non con quelle nazionali o addirittura locali.

Manca quest’anno in Rexpò lo spazio espositivo che doveva servire a fare rete. Perché non è stato previsto e ci si è concentrati sull’aspetto culturale della manifestazione?
Per la maggior parte delle organizzazioni del Terzo Settore è difficile presentare se stesse in uno stand. Esse sono legate allo specifico territorio dove svolgono le attività, che si esprimono prevalentemente in un contesto di relazioni umane. Non ci sono produzioni da mostrare. Il rischio è di dover rappresentare una organizzazione anche molto complessa con degli stampati che rendono in maniera molto povera la vita della organizzazione. Abbiamo capito che la formula fieristica era inadeguata a rappresentare la stragrande maggioranza delle esperienze di Terzo settore alle quali volevamo dar voce. Abbiamo pensato di non insistere su questa formula che, tra l’altro è anche molto onerosa dal punto di vista organizzativo perché richiede la presenza di volontari in forma stabile per 3 o 4 giorni. Abbiamo pensato che fosse più utile garantire la possibilità di uno spazio all’interno del quale tenere vivo un dibattito, una riflessione comune su alcuni temi, che potesse consentire di “contaminare” anche la vita, le scelte e gli indirizzi delle organizzazioni.

Creare democrazia dal basso facendo rete e moltiplicando le occasioni di incontro. Rexpò è un’evento importante in questo processo. Puntare tutto sulla cultura rende però difficile gli scambi. Come “inventare” allora occasioni che permettano di fare rete fra le realtà che in questa nazione si muovono in termini di difesa della democrazia autentica?
L’obiettivo che avevamo in mente era proprio costruire spazi di partecipazione attraverso l’incontro e il dialogo. Abbiamo pensato ad una articolazione dei lavori che consentisse alle persone di incontrasi e parlarsi in un gioco fatto di momenti di elaborazione pubblica e di dibattito attorno a un tema, e di spazi nei quali questo tema poteva svilupparsi in modo più informale. Ha funzionato per il meeting dei giovani del Mediterraneo; nella sessione delle organizzazioni del Terzo Settore, invece, la partecipazione si è limitata ai momenti formali e sono stati sostanzialmente disertati gli spazi di comunicazione informale che potevano sviluppare relazioni positive proiettate verso la costruzione di reti.

Puoi descrivere nello specifico l’organizzazione e gli esiti della sessione dedicata al meeting dei giovani del Mediterraneo?
La rapidità e l’entusiasmo con cui le organizzazioni giovanili, specie quelle straniere, hanno risposto all’invito a partecipare al MeYouMe (Mediterraneum Youth Meeting), che veniva dopo tutto da una organizzazione sconosciuta come la nostra, ci ha convinti da subito che ci sarebbe stata una reale partecipazione da parte di tutti. Infatti, a conclusione del meeting, c’è stata la richiesta di avere proprio più spazi di incontro informali. Il MeYouMe è stato costruito su 5 sessioni: 2 sessioni di convegno tematico, 2 di lavoro di gruppo e 1 assemblea conclusiva partecipata. La richiesta di maggiori spazi di incontro è significativa: c’è voglia di partecipare, si tratta di giovani non remissivi, non annoiati, anzi desiderosi di essere protagonisti; e si tratta di giovani abituati a partecipare perché hanno saputo superare ostacoli linguistici, la ristrettezza dei tempi di discussione e nei lavori di gruppo hanno fatto proposte molto concrete, che mostrano una competenza alla partecipazione giocata sul campo. Sono pertanto giovani che possono essere protagonisti nel costruire uno spazio mediterraneo comune.

Lo spazio dei giovani del Mediterraneo è stato pensato da voi o vi è stato suggerito da chi ha finanziato l’evento?
È stata una nostra intuizione. Solo dopo abbiamo cercato i finanziamenti. Non è stato facile farci capire perché un evento di questo genere sembra scarsamente produttivo. I finanziatori di solito si aspettano un ritorno dal finanziamento e fanno fatica a capire l’opportunità di uno spazio di confronto e di dialogo. Non era facile spiegare un evento che si propone la costruzione di uno spazio pubblico per i giovani del Mediterraneo. È un scenario lontanissimo dal concreto quotidiano, dalle esigenze e dai bisogni del territorio e da possibili diverse destinazioni per quelle stesse risorse. È molto faticoso da spiegare e anche molto faticoso da recepire e da accogliere. Nonostante ciò, anche con qualche espediente, siamo riusciti a mettere insieme le risorse. È stata quindi non una richiesta, ma una intuizione che però ha colto i bisogni.

Quali eventi di Rexpò 2008 ritieni possano avere un seguito per il futuro?
Molto positivo è il bilanco del meeting dei giovani del Mediterraneo che ha immeditamente ottime possibilità per il futuro. C’è invece bisogno di lavorare per realizzare un confronto fra il Terzo Settore del Sud d’Italia e i paesi del Mediterraneo. È tuttavia difficile far investire risorse economiche, organizzative, di tempo, di programmazione alle organizzazioni sociali che sono molto più prese dalle esigenze della quotidianità. Forse cercheremo un’alternativa alla Conferenza Euromediterranea del Terzo Settore, che potrebbe assumere una connotazione differente o entrare in un contenitore differente. Riteniamo difficilissimo ripetere l’esperienza del lavoro di discussione del ruolo del Terzo Settore nel Meridione. Anche questa è una grande esigenza, ma i livelli di frammentazione e di difficoltà a fare rete che in questo momento ci sono nel Terzo Settore non permettono di prevedere se e come dare continuità ai lavori, perché le difficoltà sono enormemente superiori rispetto alla voglia di investire.

 

Homepage

 

   
Num 85 Novembre 2008 | politicadomani.it